BEATO IL SOLE! BEATA LA LUNA!
La Luna era da tempo diventata strana. Tutte le sue amiche Stelle se ne erano accorte, ma non sapevano proprio come poterla aiutare.
“ Uffa, sono stanca di tutto questo silenzio che mi circonda!” si lamentava la Luna mettendo il broncio.
“ Ma che cosa pretendi da noi? Cosa dovremo fare per farti stare allegra?” le chiedevano le Stelle preoccupate.
“ Non fate altro che brillare…State sempre zitte. Mi deprimete!” le rimproverò la Luna.
Le Stelle si guardarono le une con le altre con aria interrogativa e poi le risposero in coro:” Ma noi apparteniamo al mondo della notte, dove tutto è silenzio e serenità. Anche tu fai parte di questo mondo…”
La Luna fece spallucce e si chiuse nel silenzio. Guardò le Stelle che brillavano come diamanti e si chiese come non fossero stanche di stare sempre in silenzio, nell’oscurità della notte.
“ Ah, come vorrei essere il Sole! Lui sì, che si diverte! Sempre in allegria nel cielo del Giorno…Ah, beato lui!”
Le Nuvole della Notte che avevano ascoltato in silenzio lo sfogo della Luna, raccontarono l’accaduto alle Nuvole del Giorno, le quali a loro volta, lo raccontarono al Vento che, da buon chiacchierone, non riuscì a resistere alla tentazione di riferire tutto al Sole.
Il Sole rimase sorpreso dal racconto e alla fine disse:” Davvero la Luna dice questo di me? Dice che mi diverto tanto! Parla così, perché non può neanche immaginare quanto io sia stanco, non ne posso più di ascoltare tutti i rumori che mi circondano…Vorrei tanto essere io al suo posto, al buio nel magico silenzio della Notte!”
Le Nuvole del Giorno riferirono le parole del Sole alle Nuvole della Notte, le quali ne parlarono con il Vento che fece la spia alla Luna.
“ Davvero il Sole vorrebbe essere al mio posto? Questa sì, che è bella!” concluse la Luna incredula.
Per tutta la notte la Luna non chiuse occhio, pensò continuamente alle parole del Sole.
Anche il Sole, il giorno dopo, pensava e ripensava alle parole della Luna e si diceva che sarebbe stato bello scambiarsi i ruoli.
“ E’ da tanto che faccio il Sole! E’ ora che vado in vacanza!” disse con le Nuvole del Giorno.
Le Nuvole della Notte erano dispiaciute di vedere la Luna così triste e anche le Nuvole del Giorno si sentivano malinconiche , perché sapevano che il Sole era in crisi.
“ Vorrei tanto essere il Sole! Beato lui!” sospirava la Luna.
“ Vorrei tanto essere la Luna! Ah, beata lei!” sospirava il Sole.
Le Nuvole, allora, escogitarono un piano segreto: prima che calasse la sera, le Nuvole del Giorno, aiutate dal soffio potente del Vento, presero il Sole che stava calando dietro le montagne, se lo caricarono sulle spalle e si diressero verso la Luna che stava sorgendo.
“ Ma… tu sei…il Sole!” esclamò la Luna sbigottita.
“ Ciao Luna! Che piacere conoscerti! Sono qui da te per scongiurarti di fare il cambio.” rispose il Sole con aria implorante.
La Luna non poteva credere alle sue orecchie. Il suo sogno si stava avverando!?
“ Non chiedo di meglio!” gli rispose la Luna, felice come non mai.
In un batter d’occhio il Sole e la Luna uscirono dai loro abiti e si infilarono l’uno nella veste dell’altro.
Il Sole, con la sua forma rotonda e grassottella ebbe qualche problema ad entrare nella tunica della Luna, ma alla fine riuscì nell’impresa e il nuovo vestito, anche se parecchio attillato, gli andò a pennello.
La Luna si sentì meravigliosamente bene nell’ampio abito del Sole, si sedette sopra le Nuvole e, dimenticandosi perfino di salutare le sue amiche Stelle, partì felice per la sua nuova missione: fare il Sole.
“ Non ci ha nemmeno salutate! Addio amica nostra, sìì felice!” le augurarono le Stelle con gli occhi pieni di lacrime.
Nelle notti che seguirono la nuova Luna dormì profondamente. Anche le Stelle e le Nuvole della Notte riuscirono a riposare tranquillamente, non c’era più nessuno che voleva parlare continuamente interrompendo il sonno di tutti.
Ma accadde uno strano effetto: di notte faceva un gran caldo, le Stelle avevano capito subito che tutto quel calore proveniva dalla nuova Luna, che in verità era il Sole e pian piano si erano allontanate nel cielo.
Chi dalla Terra guardava il cielo, si trovava ad ammirare uno spettacolo veramente insolito: la Luna era completamente sola al centro del cielo, bella e maestosa, particolarmente luminosa e dorata, lontano da lei c’erano le Nuvole e tutte le Stelle.
La Luna nelle nuove vesti del Sole si trovò subito veramente bene nel cielo del Giorno.
Tutto intorno a lei era solo allegra confusione e non si annoiava mai, anzi chiacchierava sempre con tutti, ininterrottamente.
L’unica particolarità era che nonostante ci fosse il cielo azzurro e il Sole fosse splendente, i suoi raggi non erano caldi come al solito, anzi un’aria frizzante avvolgeva la il Cielo e la Terra.
Con il passare del tempo la situazione non migliorò: la notte era sempre molto calda e il giorno era sempre troppo fresco. Nessuno sulla Terra ci capiva più niente!
La nuova Luna, dopo aver riposato per tanti notti di seguito, ora si sentiva in piena forma con tanta voglia di chiacchierare con le Stelle, le quali però per il gran caldo se ne stavano lontane e volevano riposare nel silenzio della notte.
“ Ehi, dormite tutti? Chi parla con me? Solo due parole, per favore!” gridava la nuova Luna, ma invano.
“ Come sono infelice qua! Vorrei tanto ritornare a fare il Sole! Io sono nato per fare il Sole!” si disperava a squarciagola.
Anche il nuovo Sole, immerso nella luce del giorno, iniziava a dare segni di insofferenza. Finiti i primi momenti di gioia esplosiva e di chiacchiere a tutte le ore, adesso aveva soltanto voglia di dormire o almeno di schiacciare un sonnellino. Ma niente! Tutti lo chiamavano per nome! C’era anche chi si permetteva di fargli solletico e di tirargli i raggi! Chi addirittura gli gridava in faccia di fare più caldo.
Il nuovo Sole aprì a fatica gli occhi e sussurrò tristemente:” Che bello quando ero la Luna! Mi mancano tanto le mie silenziose amiche Stelle!”
Le Nuvole avevano ascoltato i lamenti del Sole e della Luna e si misero d’accordo per riportarli ai loro iniziali ruoli.
Le Nuvole si unirono e, spinte dal vento, presero il finto Sole, se lo caricarono sulle spalle e lo portarono dalla finta Luna. Senza neanche dirsi una parola, entrambi uscirono dai loro vestiti: il Sole ritornò dentro la sua comoda veste dorata e calda e la Luna si infilò nella fresca tunica argentea.
Ognuno ritornò al proprio posto senza mai più lamentarsi: il Sole con i suoi raggi riscaldò il Cielo e la Terra; la Luna fece ritornare il fresco durante la notte e tutte le Stelline la circondarono con affetto.
Da quel Giorno e da quella Notte, tutto l’Universo riprese a vivere felice e contento.
Alessandra Montali
Alessandra Montali
giovedì 30 gennaio 2014
domenica 26 gennaio 2014
Cap I
" Sei proprio sicura?" la voce dell' uomo tremava
leggermente mentre formulava la domanda.
"Sì, papà. L'ho promesso a Giusy e agli altri. Devo ritornare
a Osimo, non so per quanto...Devo andarci per saperlo. Cerca di capire."
L'uomo annuì pensieroso. Le porse la maniglia del trolley
sfiorando la mano della figlia.
"Ti sto perdendo, Francesca. Da quando hai saputo la verità,
non ti senti più a casa tua, qui con noi." le confessò l'uomo mettendole
una mano sulla spalla, come per impedirle di andare via.
"No, papà! Ma che dici? Voi sarete sempre la mia
famiglia!" ribattè la giovane col tono scandalizzato e alzatasi in punta
di piedi, circondò con le braccia il collo del padre.
"Mi mancherai da morire, lo sai sì?"
Francesca sorrise e per tutta risposta gli scoccò un bacio sulla
guancia.
"Ti chiamerò tutte le sere e poi... abito con Giusy: lei è
una garanzia, no?." cercò di tranquillizzarlo.
L'uomo, al pensiero di quella donna così speciale, gli venne di
sorridere.
Si tese d'impulso verso la figlia e l'abbracciò
sussurandole:"Fai buon viaggio, Domiziana."
L'uomo si accorse che la figlia aveva gli occhi lucidi quando si
staccò dal suo abbraccio. Accadeva ogni volta che la chiamava col suo vero
nome. Domiziana, quel nome taciuto per tanti anni racchiudeva il segreto della
loro vita.
Salì evitando lo sguardo del padre.Le portiere si chiusero .Quel
rumore metallico le sembrò così raggelante da farla rabbrividire.
Il fischio della partenza le fece scendere due lacrime, ma allo
stesso tempo fu accolto con sollievo. Troppe tensioni, tenute volutamente
nascoste, in quegli ultimi mesi, le avevano dato l'impressione di vivere
sull'orlo di un baratro.
Sistemò il trolley e prima di sedersi, lanciò un' occhiata lungo
il corridoio del treno quasi deserto. Si sbottonò la giacca di lana blu e cercò
una posizione comoda, dal momento che il viaggio sarebbe stato lungo. Gettò lo
sguardo fuori del finestrino e si accorse che le prime luci dell'alba stavano
rischiarando il buio stellato della notte. Era da molto tempo che non le capitava
più di assistere a quello spettacolo di trasformazione. La sua memoria ripescò
un'alba estiva di alcuni anni prima, ad Ibiza, insieme a Giorgio. Francesca
chiuse gli occhi come per scacciare quel ricordo. Rabbrividì e si strinse nel
calore della giacca.
" Non fai più parte della mia vita." si disse e riaprì
gli occhi.
Continuò a guardare fuori, distrattamente. Le luci dei vari paesi
disseminati lungo il tratto ferroviario erano ancora accese e si trasformavano
in scie luminose trascinate dalla velocità del treno. A Francesca fecero
pensare alla velocità del tempo. Pochi mesi prima sapeva di essere Francesca
Dominici, orafa comasca, con una piccola voglia di fragola dietro l'orecchio
sinistro, perdutamente innamorata di un uomo, Giorgio, che l'aveva abbandonata
per un'altra donna, ed ora...lì seduta, c'era Domiziana Iasis, sempre con la
stessa piccola voglia di fragola, forse non più soltanto orafa, ma anche
barista, che lasciava Como per le Marche, dopo aver dato il benservito a
Giorgio che voleva ritornare a vivere con lei.
Suo malgrado sorrise, scrollando la testa.
"Com'è strana la vita, a volte." commentò fra sè.
L'anno prima, il grande dolore per essere stata lasciata dal
compagno, l'aveva fatta fuggire da Como per trasferirsi ad Osimo, nelle Marche
dove c'era già stata per lavoro. Era stata
categorica nella sua decisione, anche se la sua famiglia non era
d'accordo e fino all'ultimo aveva
cercato di farla desistere da quel trasferimento. Ora sapeva che lei non aveva
scelto niente, era stato il destino a scegliere per lei e l'aveva guidata là,
in quell'antico paese marchigiano, dove la sua vita era iniziata e finita senza
che lei se lo fosse potuto ricordare.
"Non sempre morire significa sparire. I miei ricordi sono
riapparsi." e sorrise tristemente.
Ripensò a tutti quegli strani dejavù che Osimo le aveva rimandato
fin dai primi giorni della sua permanenza. Gocce intense di verità che lei
aveva dovuto assorbire piano piano. Venticinque anni di vita oscurati da un
trauma e restituiti per merito di un altro trauma: la separazione dall'uomo che
amava.
"In qualche modo devo essere grata a Giorgio. Se lui non mi
avesse lasciata, io non avrei mai saputo la verità su di me." pensò
Francesca, gli occhi azzurri che guardavano fuori senza vedere.
Aveva solo cinque anni, quando perse la mamma, una nobile del
posto e un'affermata pittrice, in un terribile incidente stradale. Erano
insieme in quel giorno di pioggia. Francesca si salvò, ma perse la memoria e
qualcuno, per amore, cancellò ogni traccia della sua piccola vita. Di Domiziana
Iasis, figlia della principessa Sveva Iasis, non rimase più nulla. Una nuova
vita l'avrebbe attesa, a Como, con una nuova famiglia, e una nuova identità:
lei sarebbe diventata per tutti Francesca Dominici.
Gli anni che seguirono cancellarono la probabilità che Francesca
si ricordasse della piccola Domiziana.
"Caffè, cappuccino, brioches calde!" la voce squillante
del cameriere che, con il suo bar mobile stava attraversando il corridoio del
treno, la riscosse dai pensieri.
"Un cappuccino."
"Eccolo qui, signorina. Caldo e schiumoso." rispose
l'uomo e continuò il giro.
Francesca alzò le sopracciglia e meditò:" Schiumoso?! Se
conoscesse il cappuccino di Giusy, non direbbe questa eresia."
Riscaldata dalla bevanda, Francesca appoggiò la schiena al sedile
e si stiracchiò. Aveva voglia di dormire, ma non ce la faceva: era troppo
eccitata al pensiero di rivedere gli amici che non sapevano nemmeno che lei
stesse ritornando.
"Sarà una bella sorpresa!" si disse crogiolandosi
all'idea di vedere il viso raggiante di Giusy.
La sua mente corse per un attimo a Juro, il figlio di Giusy. Il
ricordo di quegli occhi sorridenti l'avevano fatta sentire meno sola in quei
quattro mesi di permanenza a Como.
"Non credevo mi ci volesse così tanto tempo."
Era partita da Osimo a giugno. Era un lunedì.
"Non dimenticherò mai quel giorno." si disse chiudendo
gli occhi per poter meglio concentrarsi su quel ricordo.
Da quel giorno, la sua vita
era cambiata, irrimediabilmente. Si ricordò della nebbiolina bassa quando era
scesa dal treno. Proprio in quella foschia aveva cercato il viso del padre...
Un torpore profondo la stava pervadendo, le palpebre erano
diventate pesanti, si lasciò cullare dal movimento del treno e dopo pochi
istanti si addormentò.
"Biglietti, signori! Biglietti!" la voce del conduttore
la svegliò all'improvviso.
Con gli occhi ancora semichiusi, tirò fuori dalla tasca il
biglietto e glielo mostrò.
"Dove siamo?" chiese all'uomo che stava controllando.
"Stiamo entrando nella stazione di Bologna. Può ritornare a
dormire, per Ancona c'è tempo."
Francesca sorrise e si riaccomodò sul sedile. Si sentiva
infreddolita, si disse che avrebbe voluto tanto un cappuccino preparato dalla
sua amica barista.
"Giusy cara, fra qualche ora ti rivedrò. Quante cose devo
raccontarti."
Il treno, dopo aver rallentato, si fermò per permettere ai
passeggeri di salire. In pochi minuti tutti i posti liberi furono occupati e
Francesca si ritrovò a dividere lo spazio con una giovane signora e una
bambina. Dopo un cenno di saluto e un sorriso alle nuove arrivate, Francesca
chiuse gli occhi per riaddormentarsi.
Tutt'intorno un cicaleggio leggero di voci indistinte. Ogni tanto
qualche parola usciva distinta da quel brusio e veniva captata da Francesca che
non riusciva a riprendere sonno. Sempre tenendo le palpebre abbassate ripensò a
quel lunedì pomeriggio di Giugno. In bocca riconobbe il sapore di
quell'emozione forte, intensamente viva dentro di lei. Quattro mesi erano
passati dalla ricomposizione di tutti i tasselli della sua vita, eppure le
sembrava fossero trascorsi soltanto pochi giorni. Tutto era ancora sulla sua
pelle. Tutto era ancora rimasto nascosto dentro la sua anima. Velato e protetto
dal suo silenzio. Fece un lungo sospiro e aprì gli occhi. La bambina bionda
seduta composta di fronte a lei, la stava osservando, mentre la mamma era
intenta a leggere un libro. Francesca la guardò con dolcezza e inconsciamente
si chiese se anche lei a quell'età fosse stata così buona. Con rammarico
realizzò che non lo avrebbe mai saputo. I ricordi si erano persi nell'oblio del
tempo e neanche la consapevolezza di essere Domiziana Iasis, aveva potuto
cambiare la realtà dei fatti.
La bambina non rispose al sorriso di Francesca, abbassò gli occhi
arrossendo e si accoccolò vicino alla mamma. La donna le scoccò un bacio fra i capelli e ritornò a leggere. Gli occhi
di Francesca divennero lucidi, ma ricacciò indietro le lacrime. Raddrizzò la
schiena, allungò le gambe per un attimo e controllò se c'erano sms nel
cellulare.
"Chiama appena arrivi. Non dimenticarti che noi siamo la tua
famiglia. Papà."
Rimase per alcuni istanti a fissare quel messaggio sul display.
Una profonda tristezza la pervase e gli occhi le si velarono di nuovo. Con la
scusa di soffiarsi il naso si tamponò furtivamente le lacrime.
Il treno intanto stava rallentando. Diede un'occhiata fuori dal
finestrino e capì che era arrivata a Forlì. La signora, seguita dalla figlia,
si alzò, le rivolse un breve saluto e si avviò verso l'uscita.
Francesca restò solo con i suoi pensieri. Appoggiò la nuca al
sedile e aspettò che il treno riprendesse la sua corsa. Il rullare di un
trolley si fermò dietro il suo sedile. Sentì che qualcuno sbuffò prima di
mettersi pesantemente seduto, tanto che lei stessa ne avvertì il contraccolpo
dal suo sedile.
"Però...delicato il bisonte!" pensò contrariata e cercò
una posizione comoda per affrontare il resto del viaggio.
Il sole debole di fine ottobre provava ad illuminare la giornata
grigia e triste. La nebbiolina bassa e lontana confondeva i particolari del
panorama, dando l'illusione che tutto fosse senza margini. Francesca rabbrividì
e si abbottonò la giacca di lana.
Sbadigliò più volte e stava pensando che da lì a poco si sarebbe
riaddormentata, quando la voce che proveniva dal sedile dietro il suo. la fece
ritornare immediatamente sveglia. Quella voce maschile stava parlando in una
lingua di cui lei non capiva nemmeno una parola, ma che aveva già sentito.
Eppoi quella voce giovane, lei la conosceva, glielo suggeriva il battito
accelerato del suo cuore. Con cautela sbirciò dietro di sè fra un sedile e
l'altro, avendo cura di non farsi vedere. il cuore le saltò in gola quando i
suoi occhi sbalorditi riconobbero...
"Juro!" le gridò il cuore.
Si appiattì al sedile, incerta sul da farsi. poi dopo quell'attimo
di smarrimento, prese a rovistare dentro la borsa per cercare lo specchietto.
Le dita lo afferrarono come fosse un'ancora di salvezza. Si guardò e si trovò
incredibilmente pallida e con gli occhi cerchiati.
"Sono un disastro!" si disperò.
Le gambe le tremavano per l'emozione e non le parve una buona idea
correre al bagno per darsi una sistemata. Aveva il terrore che la potesse
vedere così. Dopo averci pensato su per alcuni secondi, iniziò a passare la
matita blu sulle palpebre superiori, sfumando il colore verso l'esterno,
cancellò le occhiaie con il correttore stick e dopo una generosa passata di
fard rosa sulla guance, si sorrise allo specchio.
"Così va meglio, decisamente. Non sembro più un
procione." si rallegrò, contemplando la sua immagine riflessa.
Fece un lungo respiro :"Forza Francesca, coraggio. Alzati e
vai a salutarlo..."
Ritornò a guardarsi allo specchio e si diede una veloce pettinata
ai capelli biondi che le arrivavano oltre le spalle.
"Forza...Non farti prendere dall'ansia. Juro ti ha già vista
in condizioni peggiori di questa." cercava di tranquillizzarsi, ma continuava a rimanere seduta.
Tese l'orecchio e capì che il giovane era ancora al telefono.
Sbirciò di nuovo fra i due sedili e riuscì a scorgere le dita lunghe e
affusolate della mano che reggevano il cellulare.
Ripose lo specchietto dentro la borsa e si alzò in piedi. Fece il
giro del sedile e rimase immobile a fianco di Juro che si era voltato verso il
finestrino continuando a parlare al telefono.
Francesca mosse le labbra per pronunciare il suo nome, ma non uscì
nessun suono. Stava per riprovare quando
l'urlo del treno che si stava infilando dentro la galleria, rese vano il suo
tentativo. Vide il giovane chiudere la telefonata e accomodarsi meglio sul
sedile.Si accesero le luci e fu allora che Juro si accorse dell’immagine di
Francesca riflessa sul finestrino. Si voltò di scatto e i loro sguardi si
incontrarono.
“Francesca…”
Prima che la giovane
potesse aggiungere qualcosa, si sentì abbracciare e sollevare da terra.
“Francesca…” ripeteva Juro continuando a tenerla stretta incurante
degli sguardi e delle risatine degli altri viaggiatori.
“Ci guardano.” Lo avvertì Francesca che invece aveva notato la
curiosità degli altri.
Si sedettero tenendosi per mano. Gli occhi dell’uno tuffati in
quelli dell’altra.
Sentiva il cuore leggero e tanta voglia di sorridere. Era da molto
tempo che non si stava più così bene. Per un istante si sorprese a chiedersi se
fosse felice.
“Ero seduta dietro di te e ho udito qualcuno che parlava in
bulgaro…”
“E da quando conosci il bulgaro?” l’espressione di Juro era
divertita.
: ”No, no, non lo conosco affatto. Ho riconosciuto la tua voce.”
Il giovane divenne improvvisamente serio e cercandole lo sguardo,
gli confidò:” Pensavo ti fossi dimenticata di tutti noi e anche di …me.”
Francesca imbarazzata abbassò gli occhi e replicò :”Non mi sono
dimenticata di nessuno. In questi mesi ho cercato di dare una sistemata alla
mia vita.”
“E ci sei riuscita?”
“Non del tutto, credo.”
“Se vuoi, posso darti una mano. Mi offro volontario!”
Francesca rise.
“Allora?” incalzò Juro serio.
“Certo, come non accettare un volontario come te! Non sia mai!”
Juro le prese il viso fra le mani e le scoccò un bacio sulla
fronte. Francesca appoggiò la guancia alla sua spalla e lasciò che le
accarezzasse i capelli.
“Ho avuto paura di non farcela.” Gli disse in un sussurro.
“E io ho avuto paura di non rivederti più. In questi mesi sono
stato male senza di te.”
Francesca lo guardò. L’espressione scherzosa era sparita. I grandi
occhi verdi la stavano avvolgendo di dolcezza. Le loro labbra si avvicinarono e
si sfiorano in un bacio leggero.
“Non partire più Francesca. O almeno non partire più senza di me.”
Francesca scrollò leggermente il capo e gli rispose:” Sono tornata
per rimanere.”
Il giovane la strinse fra le braccia e si disse che ora la sua
vita era proprio perfetta.
“Siamo quasi arrivati.” avvertì Juro indicando Ancona che iniziava
a vedersi distintamente aggrappata ai colli.
Il treno rallentò quasi a fermarsi e Francesca ebbe il tempo di
ammirare la spuma delle onde grosse che si infrangeva sugli scogli in
prossimità dei binari. Alzò lo sguardo sulla città che si intravedeva e la sua
attenzione fu catturata da una costruzione bianca, che si ergeva isolata sopra
un colle. Aguzzò la vista e capì che si trattava di una chiesa.
“Che cos’è?” chiese indicando col dito.
“E’ San Ciriaco, il duomo di Ancona. La chiesa è antichissima e il
panorama che si vede da lassù è fantastico. Ti ci porterò.”
Francesca gli sorrise .
Si avviarono verso l’uscita mentre il treno si inoltrava
all’interno della vecchia stazione. Si fermò cigolando sui binari e i due
giovani scesero. Francesca captò subito il caratteristico odore di mare
nell’aria. Lo inalò in un lungo sospiro socchiudendo gli occhi. Appena fuori la
stazione, una brezza frizzante li avvolse, facendoli stringere nelle loro
giacche. Un debole sole cercava di farsi largo nella coltre di nuvole bianche
che copriva la città. Francesca inforcò gli occhiali scuri, perché quella luce
così chiara non le consentiva di tenere gli occhi aperti.
“Ho parcheggiato il Suv nel cortile di un amico. E’ qui vicino,
basta attraversare la strada.” Le spiegò Juro prendendola per mano. Il rullare dei loro trolley
sull’asfalto era appena percepibile nel rumore del traffico di Piazza Rosselli.
In pochi minuti raggiunsero il Suv nero.
“ Mi ci vuole la scaletta per salire.” Esclamò Francesca facendo
ridere il ragazzo che le aveva aperto la portiera. Per un attimo le vennero in
mente le gambe chilometriche di Michela, l’ex di Juro.
" Di sicuro, a quella stangona, non le serviva la
scaletta."
La guida agile di Juro e
l’assenza di traffico resero breve il
tragitto. Francesca sorrise appena riconobbe la strada che portava ad Osimo.
Juro tolse una mano dal volante per prenderle una mano e sfiorarla
con un bacio.
“Ci siamo.” Le annunciò.
“Non vedo l’ora di vedere Giusy. Credo che mi verrà da piangere,”
“No, stai tranquilla! Sarà mia madre che piangerà per primo.”
Francesca rise di gusto e già sentì gli occhi farsi lucidi.
Il Suv entrò nella cittadina avvolta dal grigiore della giornata,
ma a Francesca parve lo stesso bellissima. Il cuore prese a batterle più
velocemente appena Juro trovò parcheggio in una piazzola del centro storico.
Francesca si guardò intorno alla ricerca di qualche punto di
riferimento. Constatò che lì non c’era mai stata.
“Il bar di mia madre è qui vicino. E’ in fondo a questo vicolo.”
Francesca gli sorrise e lo seguì veloce sui sampietrini.
Improvvisamente, il sole, scappato al controllo delle nuvole,
illuminò i passi dei due giovani. Francesca alzò il viso per godere di quella
luce inaspettata e rabbrividì di piacere per quel lieve tepore.
“Anche il sole festeggia il tuo arrivo.” Le disse Juro
stringendole la mano.
Girarono l’angolo e si trovarono di fronte il bar di Giusy.
Francesca si fermò di botto come se all’improvviso quel luogo le incutesse
paura.
“Che c’è?” le chiese ridendo.
Francesca sorrise nervosamente.
“Sono molto emozionata…tu non immagini quanto.”
“Forza Iasis! Un bel respiro! E andiamo!” la incoraggiò Juro e
tirandola per un braccio, la portò dentro.
Il bar era vuoto, non c’era nessuno e nemmeno Giusy.
“Dai, veloce, vieni qui. Le facciamo una sorpresa.” Le sussurrò
Juro guidandola in un tavolo all’angolo.
La fece mettere sotto il tavolino lasciando che i lembi della
lunga tovaglia gialla la nascondesse completamente.
“Come sta la schiena?” le sussurrò
“Schiena ok..”
“Benissimo. Adesso la chiamo.”
“Mamma! Dove sei?” la voce squillante del giovane risuonò nel
locale.
Dopo alcuni secondi sentirono i passi di Giusy che scendevano i
gradini della scala di legno.
“Juro! Ti aspettavo due ore fa!” esordì la donna andando verso di
lui che già si era seduto al tavolo.
“Già, ho perso il treno.”
Intanto Giusy si era seduta accanto al figlio e per poco non pestò
le dita di Francesca.
“Che sfortuna, però…” commentò la donna accarezzandogli i capelli.
“Ma non direi, sai…”
“No?!”
“Sai quel detto che non tutti i guai vengono per nuocere?
“ Sì, certo, ma non ti seguo…”
A Juro sfuggì un sorrisetto malizioso, e in quello stesso istante
Francesca sbucò fuori da sotto il tavolo. Giusy sobbalzò sulla sedia per la
sorpresa.
“Francesca!” gridò con tutta la voce che aveva e per la fretta di
alzarsi, scaraventò la sedia a terra.
Juro rise e si deliziò nel vedere con quanto affetto Giusy era
corsa ad abbracciare Francesca.
“Giusy cara.”
“Tesoro mio, sei tornata!”
Il giovane tirò fuori dalla
giacca un pacchetto di fazzolettini e ne porse una metà a ciascuna.
“Le donne…piangono sempre. Anche quando sono felici!” puntualizzò
scrollando la testa divertito.
Quel gesto e quelle parole le fecero ridere aggiungendo altre
lacrime.
Juro si alzò in piedi e si diresse verso il bancone.
“Voi fate pure, eh? Con comodo…Allagate pure Osimo e dintorno, non
badate a me...Io intanto vado a farmi un caffè. Tu, Francesca, ne vuoi?”
Francesca si soffiò il naso, poi rispose:” Un cappuccino, grazie.”
Giusy le sorrise e l’abbracciò di nuovo. Sapeva che Francesca non
si era dimenticata del suo cappuccino, né tantomeno di loro.
Si sedettero al tavolo aspettando che Juro preparasse le bevande
calde. Giusy percorreva con lo sguardo il viso della ragazza che le stava
davanti. I capelli biondi le si erano allungati, lisci e luminosi, le
ricadevano ordinati sulle spalle, mentre la frangetta lunga e spessa sulla
fronte le copriva le belle sopracciglia arcuate. Si disse che era sempre molto
carina, ma la trovò dimagrita, e quegli occhi, grandi e azzurri avevano sempre
la stessa nota triste che le aveva visto quel giorno, di quasi un anno fa,
quando era entrata infreddolita nel suo bar.
"Stai bene?"
."Abbastanza, Giusy."
Ma dal modo in cui Francesca abbassò gli occhi. la donna capì che
c'era qualcosa di ancora irrisolto nella sua anima.
"Te ne parlerò..."
"Ok, cara, quando ti sentirai pronta, sai che io ci sono
sempre per te." la rassicurò Giusy stringendole le mani fra le sue.
Intanto Juro appoggiò le tazze sul tavolino e si sedette fra le
due donne.
Le osservò attentamente, prima l'una poi l'altra, continuando a
girare il cucchiaino nella tazza.
"Allora se l'alluvione è finita, possiamo parlare di come
organizzarci."
"Come sei materialista!" lo apostrofò la madre dandogli
un finto scappellotto.
"Concreto vorrai dire, mammina cara. Ora che Francesca è tornata,
mi trasferisco nell'altra casa, quella di nonna, e lascio a Francesca la mia
camera."
"No no. Sarò io che mi troverò una casa, tu non vai da nessuna parte. Questa è casa tua."
"No no. Sarò io che mi troverò una casa, tu non vai da nessuna parte. Questa è casa tua."
Giusy li guardò con occhi diversi e capì che forse qualcosa era
successo. Aveva subodorato che qualcosa era intervenuto per fargli lasciare
Michela all’inizio dell’estate, ma non ne era stata sicura fino a quel momento.
Si ricordò che durante le vacanze estive, aveva notato una certa malinconia nel
figlio. Il suo starsene spesso da solo in casa invece di uscire con gli amici e
soprattutto il suo silenzio, le avevano fatto temere che forse sentiva la
mancanza di qualcuno, forse si era pentito della decisione presa, o forse c'era
dell'altro.. Un giorno, poi, l'aveva trovato mentre sfogliava il piccolo album
di foto scattate a Francesca dentro
Palazzo Iasis, pochi giorni prima della sua partenza per Como e che poi si era
dimenticata di prendere. Per un attimo le era passato in mente che forse lui e
Francesca...ma quel pensiero era per lei così meraviglioso che le sembrò
impossibile fosse vero.
Ma ora quell’idea le si era riaffacciata alla mente portandole una
sferzata di allegria.
"Allora ragazzi, una cosa alla volta. Intanto Francesca,
porta il trolley di sopra e sistema le tue cose, poi penseremo dove spedire
Juro."
Francesca fece per prendere il trolley, ma Juro la precedette e se
lo caricò in spalla. Con un sorriso la fece passare per poi seguirla sulle
scale.
La giovane teneva gli occhi fissi sui gradini, ma prima di
arrivare in cima, notò qualcosa di particolare e dovette tirare su lo sguardo.
Una serie di palloncini colorati attaccati in alto facevano da
cornice alla grande sala tinteggiata di arancio. Finì di salire le scale e
intravide, attaccati alla specchiera antica, un grappolo di palloni grandi
madreperlati che reggevano un foglio di carta di riso. Lentamente si avvicinò e
lesse quello che c'era scritto:" Ho sognato che saresti ritornata.
Bentornata Francesca, bentornata a casa tua!"
Francesca si voltò verso Juro, allibito quanto lei e insieme
gridarono sporgendosi dalla ringhiera :"Mamma!"
"Giusy!"
Dal piano di sotto i due giovani udirono distintamente la
fragorosa risata della donna.
Il bar in poco tempo si riempì di gente e Giusy dovette rimanere
al piano di sotto aiutata da Juro. Intanto Francesca, aperto il trolley, iniziò a sistemare i vestiti. Li trovò
abbastanza stropicciati e sbuffò al pensiero di doverli stirare di nuovo. Si
era portata da Como gli indumenti più pesanti che aveva, senza tralasciare
sciarpe e berretti di lana, memore dell'inverno gelido dell'anno prima. Gettò
un'occhiata fuori dalla finestra che si apriva sulla Piazza e vide la fontana
della Fortuna, da dove tutto era partito: i suoi dejavù, i ricordi dimenticati
e infine la scoperta della verità. La sua attenzione fu attratta da un uomo
distinto in giacca scura e cravatta che stava attraversando la Piazza. Per un
attimo le ricordò Giorgio e il cuore le mandò un guizzo nel petto.
Le ritornò in mente l’ultima volta che era stata con Giorgio. Avevano
appena fatto l’amore in quel caldo pomeriggio di giugno. Se ne stava
accoccolata fra le sue braccia, sulla pelle ancora il profumo di lui. Pensò che
sarebbe stato un peccato farsi la doccia.
Eppure, quel giorno, quando se l’era trovato davanti, aveva deciso
di non fare l’amore con lui. Doveva prima raccontargli di sé, di quello che era
emerso dal suo passato e rivelargli la sua vera identità . Ma appena le si era
avvicinato e l’aveva baciata intensamente, ogni proposito era caduto nel vuoto.
Si era resa conto di desiderare quel corpo caldo contro il suo. La sua pelle
voleva la pelle di Giorgio così morbida e liscia, stupenda e così simile alla
propria. Fare l’amore con lui fu come riappropriarsi di Francesca, del suo
corpo, della sua sensualità. Capì che l’alchimia di cui Giorgio le aveva
parlato spesso e che li aveva uniti fin dall’inizio della loro storia, non si
era affatto esaurita in quei mesi di lontananza.
Non si era pentita di essere stata con lui. Si disse che gli
avrebbe raccontato tutto, a cena, magari in quel romantico ristorantino sul
lago..
Si girò verso l’uomo e lo baciò sulle labbra. Giorgio la strinse
fra le braccia, le mani bollenti che correvano sulla schiena di lei. Si stavano
abbandonando di nuovo alla passione, quando il cellulare dell'uomo squillò.
Allungò la mano per prendere il telefono, ma Francesca glielo impedì, gelosa
che qualcuno potesse interrompere quel momento magico. La suoneria smise di
trillare e una calda voce femminile iniziò a parlare. Francesca spalancò gli
occhi e un’aria interrogativa le si stampò sul viso. Le parve per un attimo di
riconoscere quella languida voce di donna, ma fu distratta da Giorgio che stava
boffacchiando un imbarazzato: ”Posso spiegarti.”
L’uomo ripetè il gesto di prendere il cellulare, ma Francesca più
veloce, lo precedette e si ritrovò il telefono stretto fra i palmi delle mani.
Teneva gli occhi fissi sul display, quasi non respirava per ascoltare. Quella
voce sensuale e piena di sospiri stava offendendo le sue orecchie. Non avrebbe
più voluto ascoltare quelle sconcezze, ma si costrinse a farlo: doveva ascoltare per sapere.
“Ieri sei stato magnifico. Spero che mi farai impazzire anche questa
notte. Ti aspetto.”
La telefonata si concluse con un ennesimo sospiro.
Francesca rimase quasi inebetita. Le dita le si aprirono e il
cellulare cadde sul letto.
“Posso spiegarti tutto, Francesca.”
Lei si coprì in fretta con la vestaglia di satin avorio senza
degnarlo di uno sguardo.
“Non ha significato nulla per me…Michela è solo sesso,
nient’altro.”
Michela! Quel nome le esplose nella testa. Ecco perché quella voce
le sembrava vagamente familiare. Michela la bellona ancheggiante, dalle lunghe
gambe perfette. Michela che mesi fa aveva ballato con Giorgio nel bar di Giusy
e che si era trasferita a Milano dopo la rottura con Juro.
Un gelo improvviso l’avvolse completamente, mentre le sue narici
avvertivano l' odore amaro della delusione.
“Francesca ascoltami. Non fare così…Tu eri lontana, confusa, non
sapevi se ritornare con me. E io mi sentivo solo…Poi Michela si è trasferita a
Milano e abbiamo preso a frequentarci. Ma io non la amo. Io amo te, solo te!”
Francesca era rimasta immobile, seduta sul bordo del letto, lo
sguardo fisso sulla specchiera di fronte a sé. Una giovane donna bionda la
stava osservando con gli occhi lucidi e smarriti.
“Francesca…” la chiamò ancora Giorgio e le circondò le spalle con
un braccio.
“Non mi toccare.”
Quel monito lo aveva gelato. Non l’aveva mai vista così sconvolta.
La seguì con lo sguardo quando si alzò dal letto. La vide stringersi la cinta
della vestaglia intorno alla vita sottile.
“Francesca aspetta. Aspetta.” Riprovò l’uomo e, saltando giù dal
letto, le si parò davanti.
Francesca chiuse gli occhi e due lacrime le sfuggirono.
“lo so, amore, ora sei arrabbiata. Ma ti prego credimi, io amo
solo te. Oggi ci siamo ritrovati dopo tanto tempo. Non buttare via tutto, per
una cosa da niente.” La voce di Giorgio era dolce e suadente.
Francesca, senza alzare lo sguardo, gli mise una mano sul petto e
lo allontanò da sé.
“ Non voglio più vederti. Vattene da casa mia.” E si chiuse in
bagno.
Uscì da lì soltanto quando ebbe la certezza che Giorgio se ne
fosse andato.
Trovò un biglietto sul comodino, diceva:” La tua pelle non potrà
mai fare a meno della mia. Noi ci apparteniamo. Ti amo.”
Ritornò in bagno e riempì la vasca dell’idromassaggio. Si immerse
nell’acqua calda, voleva gridare tutta la sua disperazione, voleva affogare il
dolore nel pianto, ma non ci riuscì. Si allungò lasciando che l’acqua le
accarezzasse il collo, poi chiuse gli occhi, trattenne il respiro e si immerse
completamente. Doveva far tacere quel vuoto che le urlava dall’anima. Per
troppo tempo ne aveva udito il lamento, ora non voleva farlo gridare più.
Il battito del cuore era tutto nell’acqua, amplificato nel suo
ritmo, era l’unico rumore della stanza. Francesca non voleva riemergere, non
aveva le forze per farsi ubbidire dal suo corpo abbandonato. Aprì stancamente
gli occhi e attraverso la trasparenza dell’acqua comparve l’immagine della
piccola Domiziana. Stava facendo il bagnetto a Lisetta, la sua bambola
preferita. Era felice Domiziana. Rideva ad ogni tuffo rocambolesco che faceva
fare alla bambola, mentre gli spruzzi le arrivavano sui capelli e sul viso.
All’improvviso la vide girarsi verso di lei e con piglio deciso, quasi
arrabbiato, le intimò:” Non farmi morire!”
Non la stava supplicando, no, glielo stava ordinando, i grandi
occhi chiari spalancati su quelli socchiusi di Francesca.
“Tirati su, ho detto!” la voce gridò forte nell’acqua.
La giovane sgusciò fuori impaurita, tossendo violentemente..
E ancora scossa, uscì dalla vasca.
La sera, il padre non avendola vista al loro laboratorio orafo,
passò da lei. La trovò avvolta nella coperta di pile azzurro, nonostante fosse
molto caldo. Capì subito che qualcosa l’aveva sconvolta: pallida, infreddolita,
con gli occhi lucidi se ne stava rannicchiata sul divano
Non le aveva chiesto nulla, l’aveva solo abbracciata aspettando
che si decidesse a confidarsi, ma lei rimase in silenzio.
I giorni che seguirono non furono migliori. La malinconia e la
solitudine si davano il cambio per non lasciarle mai un attimo di respiro . Il
vuoto che le bruciava nell’anima era così sconfinato che le pareti del corpo
sembravano incapaci a contenerlo. Aver lasciato Giorgio era stato il dolore più
grande che avesse finora provato. Non era riuscita a parlarne con nessuno,
nemmeno con il padre. Ma era certa che lui avesse letto, nel suo pianto asciutto,
il motivo del suo malessere interiore. Infondo, a lui, Giorgio non era mai
piaciuto. Non glielo aveva mai detto apertamente, ma Francesca lo aveva capito
dalla piccola ruga che gli si formava fra le belle sopracciglia arcuate, ogni
volta che sentiva pronunciare quel nome.
Rovesciò il trolley per vedere se c'era rimasto ancora qualcosa e
un pezzetto di carta cadde in terra. Francesca lo raccolse e dopo aver letto si
rese conto che era un biglietto del treno della tratta Ancona-Como. Guardò la
vidimazione: 13 giugno. Lasciò il trolley cadere in terra e con entrambe le
mani prese quel biglietto. Gli occhi puntati su quella data.
“Niente biglietto! Qui non si parte più!” la voce di Juro la fece
sussultare e lui glielo strappò dalle dita.
Francesca senza dire una parola, osservò il giovane che prese a
saltellare e a correre per la stanza sventolando in alto il biglietto. Non potè
trattenersi dal ridere, era così buffo nel suo metro e novanta. I capelli scuri
e lisci, leggermente lunghi sul collo, sobbalzavano a ritmo dei suoi salti che
sicuramente si avvertirono anche di sotto al bar.
“Juro! Mi vuoi demolire casa?” la voce di Giusy fermarono le
acrobazie.
Francesca scoppiò a ridere, seguita dal giovane, il quale le
restituì il biglietto sventolandoglielo sotto il naso.
“Lascia andare il passato, Francesca. Vivi il presente.”
“Sono qui per questo.” E preso il biglietto, lo appallottolò prima
di tirarlo nel cestino.
Juro sorrise e gli occhi verdi brillarono
CAP II
Dopo cena le due donne rimasero sole. Juro era andato a casa di
Lorenzo per vedere la partita di Champions con gli amici. Prima di uscire aveva
stampato un bacio rumoroso sulla guancia di Francesca e poi ridendo era corso
fuori nella Piazza. Giusy soffocò a stento una risata. Sapeva che il figlio era
sempre stato un soggetto particolarmente estroverso e solare, ma ora lo trovava
addirittura radioso e sapeva che il merito era tutto di Francesca.
“Ti va una tisana?” le chiese Giusy che già stava mettendo l’acqua
bollente nella tazza..
“Sì, grazie.”
“ A quale gusto? Ai fiori di sambucus, al tè rosso, alle erbe
balsamiche o al mirtillo…aspetta, ho anche quella alle more.
“Giusy, sei rifornita meglio dell’erboristeria! Provo il tè rosso, non l’ho mai assaggiato.”
“Bingo: è la mia tisana preferita!”
In pochi istanti l’acqua diventò di un bel colore rosso acceso e
un gradevole profumo si sprigionò dalla tazza.
“ Sai? Ho perso i miei poteri…” esordì la donna.
“Poteri?”
“I tarocchi. Non riesco più a leggerli. A tutte le donne della mia
famiglia è accaduto, ma in tarda età. A me è capitato con tanti anni di
anticipo. Pazienza.”
“Ma… come è possibile?”
“Non lo so nemmeno io, ma è successo. Ora faccio dei sogni
premonitori e proprio l’altra notte ho sognato che tu saresti tornata.”
“Ma anche questo è un dono. Uno splendido dono!” Sottolineò
Francesca, gli occhi spalancati per lo stupore. .
“Sì, ma mi ci devo ancora abituare. Da un lato sono felice di
avere questa capacità, ma dall’altra mi mancano i miei tarocchi. Tu lo sai, io
non li ho mai fatti per denaro. Non sono una fattucchiera cialtrona e a
pagamento. L'arte antica dei tarocchi è sempre stata una tradizione della mia
famiglia... e poi riuscivo a leggerli solo se la persona che avevo davanti mi
ispirava delle sensazioni particolari, come è successo con te. ”
“Mi dispiace, Giusy.” Le disse Francesca stringendole una mano.
“L’ultima volta che ci sono riuscita è stato a giugno prima che tu
partissi, quando ti dissi che a Como ti aspettava l’ultimo tassello per
completare la tua ricerca. Ti ricordi?”
“Sì, Giusy e come potrei dimenticarlo? Alla stazione di Como mi aspettava proprio l’ultima verità.”
“Sì, Giusy e come potrei dimenticarlo? Alla stazione di Como mi aspettava proprio l’ultima verità.”
Giusy che stava per sorseggiare il tè, si fermò con la tazza a
mezz'aria e con lo sguardo stupito ritornò a chiedere:"Alla stazione? Ma
non avevi detto che ti aspettava tuo padre?"
Francesca abbozzò un sorriso e fece di sì con la testa, ma dal
modo con cui guardò Giusy, le fece capire che c'era dell'altro.
"C'era mio padre ad aspettarmi...Proprio mio padre."
Giusy non riusciva a capire perchè Francesca avesse dato data
enfasi a quelle parole finali e aspettò che si spiegasse meglio. La vide fare
un lungo sospiro e appena ritornò a parlare, inconsapevolmente rabbrividì.
"Quando sono scesa dal treno, c'era la solita foschia di
lago. Mio padre era parecchio lontano da me...allora io ho dovuto aguzzare la
vista per vederlo meglio...Mentre ci stavamo avvicinando ho notato le sue
sopracciglia arcuate come le mie...Ti ricordi? La mia governante Evelina mi
disse che era..."
" che era l'unica somiglianza con il tuo vero padre...ma
allora..."
Un attimo di silenzio, gli occhi di Giusy che cercavano conferma
della sua ipotesi negli occhi dell'altra.
"Sì, Giusy, quello che avevo creduto essere il mio padre
adottivo è anche il mio padre biologico."
"Dio mio!" . Giusy si prese il viso fra le mani come per
contenere lo stupore.
Francesca le raccontò di come era cambiata la sua vita da quel
pomeriggio di giugno, di come avesse iniziato a sentirsi diversa ed estranea
all'interno di quella che lei aveva sempre considerato la sua unica famiglia.
Era stata accolta come una principessa al suo ritorno a casa. Per lei erano
anche ritornati i due fratelli maggiori che abitavano in Svizzera. con le mogli. L'accoglienza era stata bella,
calorosa, emozionante e per un attimo pensò che tutto avrebbe potuto continuare
come era sempre stato. Ma poi, col passare dei giorni si era resa conto che le
era cambiato lo sguardo. Non riusciva a guardare nello stesso modo quella che
era sempre stata sua madre, prima di sapere la verità. Si sentiva in colpa nei
suoi confronti per quel segreto di cui lei ne era l'espressione vivente. Così,
dopo qualche giorno aveva preferito trasferirsi nella casa sul lago. La madre
l'aveva aiutata nelle pulizie e mentre spolveravano insieme il lungo tavolo di
cristallo, i loro occhi si erano incontrati varie volte, ma Francesca non era
riusciuta a sostenere lo sguardo. Ebbe paura che quella donna, gentile,
premurosa, sorridente che le stava di fronte, la stesse leggendo dentro, nella
pieghe interiori.
"Che cos'hai, tesoro?" le aveva chiesto con tanta di
quella dolcezza, che a Francesca le si erano riempiti gli occhi di lacrime.
Lei aveva scrollato la testa, senza aggiungere nulla, senza osare
guardarla. Si era limitata a sfregare il panno sul tavolo, tenendo gli occhi
incollati al cristallo già lucido.
"Se c'è qualcosa che ti turba, io ci sono. Ci sono,
Francesca, come al solito." le aveva detto la madre e le parve che avesse
pesato sulle ultime parole.
Lei aveva cercato di rassicurarla che tutto andava bene, ma sapeva
perfettamente che stava rassicurando solo lei stessa, senza riuscirci.
Giusy sospirò, scrollò la testa e poi le chiese
" Tuo padre era d'accordo che ritornassi ad Osimo?
"No, assolutamente! Ma
io non ce la facevo più a vivere in quel modo. Era come se stessi mentendo a me
stessa. Per continuare a vivere a Como, io avrei dovuto cancellare Domiziana,
ma non è quello che voglio. Io amerò sempre mio padre e mia madre, lei mi ha
cresciuta nel suo amore senza mai farmi sospettare che fossi una figlia
adottiva. Però ora la mia vita è qui."
Giusy le sorrise e gli occhi verdi brillarono alla luce del neon
della cucina.
"E Juro c'entra qualcosa con la tua vita?"
A quella domanda un improvviso rossore si diffuse sulle guance di
Francesca e Giusy non riuscì a trattenersi dal ridere:" Non occorre che tu
mi risponda, l'ha già fatto il tuo viso!"
Anche la ragazza si unì alle risate dell'amica e. preso il
tovagliolino di carta che era vicino alla tazza, cominciò a sventolarlo
energicamente.
"Per ora siamo solo poco più che amici. Io gli voglio molto
bene e credo che sia la stessa cosa per lui, ma voglio andarci cauta. Dopo la
fine della mia storia con Giorgio ho paura di soffrire di nuovo."
"Sono felice che tu abbia mollato quel poco di buono. Che
cosa ti ha fatto prendere questa decisione?"
Francesca si diede una grattatina alla testa e poi con una
smorfia, spiegò:"Il suo letto era già occupato da un'altra donna..."
La guardò dritta negli occhi. Moriva dalla voglia di rivelarle
quel nome, se lo sentiva bruciare sulla lingua,
si rese conto che voleva proprio
uscirle dalle labbra, ma si costrinse al
silenzio. Stava giusto tirando un
sospiro di sollievo per essere riuscita a ricacciarlo indietro, quando udì
l'amica chiederle:"Non mi dire che si tratta di Michela!"
Francesca sussultò come se fosse stata punta da uno spillo e Giusy
capì di aver fatto centro. Il suo commento fu molto duro:" L' ho sempre
saputo che quella lì era una poco di buono, non mi è mai piaciuta. Sono proprio
contenta che sia fuori dalla vita di mio figlio."
Prese le mani di Francesca fra le sue e con dolcezza le
confidò:"E' un bene che ti sia allontanata da quell'uomo. Ti avrebbe fatto
solo altro male."
Francesca annuì e stava per
aggiungere qualcosa quando Giusy riprese a parlare:" Sarei veramente
felice se tu e Juro vi metteste insieme, non posso negarlo. Per te nutro un
affetto particolare, Francesca, ma me ne starò in disparte aspettando che il
destino compia il suo corso...E' vero anche che sarebbe forse la prima volta
che nuora e suocera vanno così d'amore e d'accordo."
Entrambe scoppiarono a ridere e si abbracciarono.
"Giusy, sei sempre la mia Giusy, forza della natura!"
"Sono così felice di averti qui..." le rispose, ma
mentre teneva la ragazza fra le braccia pensò:"Eh no...Il destino va
sempre aiutato, questa è la mia filosofia."
Quando Juro rincasò era già passata la mezzanotte. Non accese la
luce, ma si servì della piccola torcia che stava sulla mensola dell'ingresso e
silenziosamente salì le scale. Gli venne da ridere al ricordo di quella notte
di un anno prima, quando Francesca credendolo un ladro, lo colpì alla testa col
candelabro d'argento.
"Chissà forse mi sono innamorato di te già da quella
sera." pensò.
Arrivato al piano di sopra illuminò Francesca che stava
dormendo nel divano-letto. Le accarezzò
delicatamente una guancia. Lei si mosse e senza svegliarsi mormorò: ”Giorgio…”
Juro ritrasse immediatamente la mano. Quel nome lo pietrificò.
La mattina dopo quando Francesca aprì gli occhi, avvertì subito
l'aroma di caffè e si rese conto che non si trovava più a Como.
Sgusciò fuori dal letto e tirò le tende per vedere il cielo. Lo
trovò sereno e luminoso, chiuse gli occhi e si stirò piacevolmente. Si disse
che si trovava proprio nel luogo dove voleva stare.
In dieci minuti si preparò, niente trucco sul viso, si concesse
solo una passata di mascara marrone sulle ciglia. Notò che anche le occhiaie le
erano sparite, ci aveva combattuto mesi e mesi con creme, gel e correttori,
senza avere buoni risultat.
"Bastava ritornare qui da Giusy." si disse mentre
scendeva le scale.
Di sotto il bar era pieno di gente. Cercò Giusy e Juro, ma trovò
solo la donna, vistosa nella tuta di
ciniglia blu elettrico e indaffarata con tazze e brioches.
"Ciao, cara, ben svegliata!"
"Grazie ti dò una mano."
"No no, siedi e prendi questo cappuccino. Mi aiuti
dopo."
Francesca stava per ribattere, quando la sua attenzione fu
attirata da Juro che stava entrando. Reggeva un vassoio vuoto, lo appaggiò sul
bancone e si sedette vicino a Francesca.
"Ciao, Iasis, dormito bene?"
"Benissimo! E tu da dove vieni?"
"Benissimo! E tu da dove vieni?"
"Sono andato alla casa di riposo degli anziani. Ogni martedì
mamma prepara loro la colazione gratis."
"Tua madre ha sempre un cuore grande per tutti."
"Mamma è sempre stata così. Pensa, che quando ero piccolo,
ero geloso di lei, perchè i miei amici la adoravano. Lei preparava merende
super per i miei compagni di scuola, poi si metteva a raccontare barzellette.
Come non poteva stare simpatica a tutti?"
"Già. Sfido io a trovare qualcuno sulla faccia della terra
che non ami tua madre."
Juro le sorrise e intrecciò le dita con quella della ragazza.
"Ecco due cappuccini al cacao!" la voce squillante di
Giusy fece quasi sobbalzare Francesca.
La donna agitò leggermente le tazze una alla volta prima di appoggiarle
sul tavolino e come per magia Francesca vide uscire dalla schiuma del
cappuccino un cuore di cacao. Le labbra le si aprirono dallo stupore e stava
per chiedere come Giusy riuscisse a fare quella strana cosa, quando Juro la
precedette:"Non te lo dirà mai! Non l'ha detta nemmeno a me!"
Francesca alzò lo sguardo su Giusy e la trovò radiosa nel sorriso,
notò che gli occhi le brillavano mentre osservava le loro dita intrecciate. Le
restituì il sorriso e riprese a fissare i cuori che si stavano abissando nella
schiuma corposa dei cappuccini.
Giusy ritornò ai tavoli e i due giovani fecero colazione.
Ho fatto una cosa senza il tuo permesso." disse Juro
"Sì? Cosa?"
"Ho chiamato un' impresa di pulizia e in un mese ha tirato a
lustro casa tua."
Francesca che stava per sorseggiare il cappuccino, si fermò un
attimo, corrugò la fronte e chiese, sapendo già la risposta:"Palazzo
Iasisi?
"Mais oui, principessa...casa tua, te ne sei
dimenticata?"
Francesca scrollò la testa.
"E come potrei Grazie Juro, hai avuto una magnifica
idea."
"Modestamente sono Juro, il figlio di Giusy..."
Scoppiarono entrambi a ridere, poi il gioovane ritornò serio e le
confidò:
"Ho dato una mano anche io per i lavori e ...ho visto i
quadri di tua madre...molto belli, veramente."
"Francesca annuì e finì di bere il cappuccino.
"Coraggio...facciamo un salto a casa tua, così vedi il
cambiamento." e presa Francesca per mano,
uscirono dal bar.
Il profumo intenso di ciambelle di mosto appena sfornate li
accolse appena imboccarono il vicolo.
"Senti che profumo! Poi ci fermiamo al forno?"
"Certo come vuoi, mia principessa!"
"Smettila Juro!" e gli assestò una botta sul braccio.
"Principessa manesca, ma non ti hanno insegnato le buone
maniere?"
"Adesso ne arriva un'altra!" lo avvisò Francesca ridendo
Juro prese a correre nel vicolo in leggera discesa e di tanto in
tanto si voltava a guardare Francesca che con le guance rosse e i capelli al
vento lo inseguiva correndo. I passi affrettati rimbombavano nella via stretta
e silenziosa.
"Se ti prendo Juro...vedrai tu!" minacciava
scherzosamente Francesca accelerando il passo.
"Prima devi prendermi, Jasis!"
La ragazza arrivò ansante al portone del palazzo dove già Juro
l'aspettava da alcuni secondi, in piedi con le braccia conserte e un sorrisetto
divertito.
"La trovo piuttosto arrugginita Miss Iasis, le consiglio
esercizi ginnici quotidiani che le eviteranno di sbuffare come un bisonte per
una corsetta così leggera, per di più in discesa."
Francesca riuscì solo ad annuire tra un respiro e l'altro.
Appoggiò la mano al grande portone e rabbrividì a quel contatto.
"Forza, entriamo!" esclamò il giovane e porse la chiave
all'amica.
La giovane la tenne per alcuni istanti nel palmo della mano, come
quel giorno di un anno prima quando l'aveva trovata in terra, imbrunita dagli
anni, caduta da una delle finestre del maestoso palazzo.
Juro le sorrise, le accarezzò i capelli, le prese la chiave e la
girò nella serratura.
"Coraggio...questa è casa tua."
La prese per mano e insieme entrarono. Si accorse che la mano di
Francesca era gelida e ogni tanto tremava nella sua. Gliela strinse forte e Francesca ricambiò la
stretta.
"Sono emozionata...non ho paura." gli bisbigliò l'amica
e in silenzio entrarono nell'ampio salone.
CAP III
"Dove vai, miss Iasis?" chiese Juro notando Francesca
che si infilava la giacca.
La ragazza si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso così
luminoso che gli fece sfarfallare il cuore.
"Vado da Daniele. Chissà...avrà ancora bisogno di
un'orafa?"
"Di una brava come te, di sicuro." e le sfiorò con l'indice il piccolo ciondolo a forma di stella che Francesca aveva al collo.
"Di una brava come te, di sicuro." e le sfiorò con l'indice il piccolo ciondolo a forma di stella che Francesca aveva al collo.
"Le tue stelle di luce sono straordinarie."
"Vieni anche tu?"
Juro scrollò la testa e le disse che doveva ancora esaminare tre
proposte di lavoro da una
nuova azienda tedesca.
"Ci vediamo per cena." le disse. L’abbracciò e, dopo
averle strofinato il viso tra i capelli, le annusò il collo.
"Uhm...che buon profumo che hai." le sussurrò
"Juro...da quando sei diventato un cane?"
"Bau bau...bauu!" e sparì sulle scale.
Francesca non riuscì a trattenersi e uscì dal bar ridendo
fragorosamente. Un paio di signore che passavano di lì, le lanciarono
un'occhiata interrogativa, ma lei continuò incurante, tanto che le erano
diventati gli occhi umidi per le risate.
"Juro..." si disse "Come sono potuta stare quattro
mesi lontana da te? "
Tese una mano sotto i getti d'acqua della fontana della Pupa, si
spruzzò alcune gocce sul viso, rise di nuovo, fece una piroette, per poi
ricomporsi nell'attraversare il Corso.
Il laboratorio orafo si era ingrandito, così le aveva spiegato
Giusy, e infatti appena Francesca arrivò in fondo al vicolo si accorse che
Daniele aveva aggiunto i due numeri civici precedenti e ora il laboratorio era
grande e molto luminoso con quelle due grandi finestre che permettevano di
ammirare i gioielli esposti. Francesca buttò lo sguardo dentro e vide l'amico
che stava infilando una lunga collana di perle. Sorrise e suonò il pulsante
alla porta. Lo vide girarsi e spalancare gli occhi nel vederla. Lasciò subito
la collana e corse lui stesso ad aprire.
"Francesca!" esclamò prendendole le mani e la tirò
dentro.
"Ciao Daniele!"
"Non ci posso credere...Ma sei proprio tu?"
"Direi proprio di sì. MI trovi diversa?"
Entrambi scoppiarono a ridere e si abbracciarono.
"Hai ancora bisogno di aiuto per i tuoi gioielli?"
chiese la giovane
"Certo che ho bisogno di te! Non vedevo l'ora che tu
ritornassi."
" Sono contenta di riprendere il lavoro. Quando inizio,
capo?"
"Domani?"
"Domani, ok. Solita ora?"
"Ti aspetto...sono mesi che ti aspetto. poi mi dirai che cosa
ti è successo in tutto questo tempo."
Francesca piegò la testa e si guardò la punta delle scarpe:"
Sono stata via più del dovuto, ma ora voglio riprendere in mano la mia
vita!"
"Brava!" concluse Daniele stringendole ancora le mani
tra le sue.
I due giovani si guardarono negli occhi, Francesca pensò che fosse
proprio un peccato che non esistesse una pietra naturale del colore degli occhi
dell'amico : quel verde e turchese mischiati insieme davano una sfumatura
veramente unica e meravigliosa.
Daniele la guidò dentro il laboratorio e le spiegò il lavoro che
l'attendeva.
Il sole debole e timido di fine ottobre provava ad illuminare la
giornata. Le campane stavano suonando i dieci rintocchi quando Francesca col
fiato corto risalì il vicolo dopo essere stata da Daniele. Si disse che si era
coperta troppo, infondo non faceva così freddo e soprattutto non c'era quel
vento sibilante che aveva trovato l'anno prima. Si allentò il foulard dal collo
e riprese a camminare per ritornare da Giusy. Si fermò da Isabella
all'erboristeria per comprare la tisana ai frutti di bosco che piaceva tanto a
Giusy e un paio di orecchini verdi che aveva appena visto esposti nella
vetrina. Li indossò prima di uscire dal negozio, le piaceva quel colore così
intenso, le faceva pensare agli occhi di Juro. Il cuore le mandò un sussulto a
quel pensiero. Sorrise e si accarezzò il bottoncino verde che le splendeva sul
lobo. Si confessò che Juro stava diventando sempre più importante per lei, era
entrato nella sua vita in punta di piedi e ora...ora...non poteva neanche
pensare ad una giornata senza di lui.
Si disse che forse era giunto il momento di non nascondersi più,
doveva parlargli, doveva farlo. Chiuse gli occhi e sospirò, sì, prima o poi
l'avrebbe fatto, ormai faceva fatica a vederlo come amico e sapeva che Juro
faceva ancora più difficoltà di lei. Forse non erano mai stati amici
veramente...
Il cellulare le mandò un delicato tintinnio da dentro la borsa.
Capì che era arrivato un sms. Si fermò e sorrise appena si rese conto che
glielo inviava Juro. Lo lesse con gli occhi:” Sono a Forlì e ritorno stasera
per cena. Mi sono alzato all’alba e l’ho trovata ancora più bella pensando a
te. Un bacio”
Riprese a camminare con il passo leggero e tanta voglia di ridere.
Meditò che lo avrebbe richiamato all’ora di pranzo, aveva voglia di ascoltare
la voce allegra di Juro.
Ormai era arrivata davanti alla fontana della Pupa, la oltrepassò
senza nemmeno vederla e arrivò al bar. Aprì la porta e la prima cosa che udì fu
la risata di Giusy. La intravide seduta sul divanetto in fondo al locale
intenta a parlare con una signora girata di spalle. Andò nello stanzino a
cambiarsi e dopo un istante si ritrovò Giusy dietro che la sollecitava a
raggiungerla.
"C'è una persona che ti vuole parlare, dai, vieni..."
"Non mi dire che è venuto Giorgio...non voglio parlare con
lui, mandalo via."
Giusy scrollò la testa, la prese per mano e la portò nella sala.
"Ma almeno dimmi chi è." protestò Francesca.
"Zitta e ubbidisci."
La ragazza sbuffò, ma seguì l'amica.
Sgranò gli occhi appena vide la persona che le stava tendendo le
braccia.
"Mamma!!!" esclamò Francesca e corse ad abbracciarla.
"Tesoro!"
"Mamma, tu qui?!" ma poi con aria preoccupata, aggiunse:
"E' successo qualcosa a casa? Papà, i ragazzi?"
Lei si affrettò a scrollare la testa per rassicurarla.
"Tutti bene tutti bene e..."
"E?"
"E tra cinque mesi sarai zia, la moglie di Lorenzo sta aspettando una bambina! Non vedevo l'ora di dirtelo!"
"E tra cinque mesi sarai zia, la moglie di Lorenzo sta aspettando una bambina! Non vedevo l'ora di dirtelo!"
"Che bella notizia! Come sono felice per loro!"
Giusy lasciò le due donne da sole, ma mentre si allontanava notò
una sfumatura di tristezza nel sorriso della signora Lorella.
Senza dire una parola la donna prese le mani della figlia e le
strinse tra le sue. Francesca restituitì la stretta trovando quelle mani così
familiari e così morbide. Gli occhi della ragazza cercarono quelli della madre
e fu allora che capì che la donna non aveva fatto tutti quei chilometri solo
per dirle della futura nascita della prima nipotina. Un senso di inquietudine
la pervase e abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate.
"Non voglio che tu stia qui a mille chilometri di distanza da
noi. Casa tua è a Como." esordì la donna lasciandole le mani
Francesca non sapeva cosa dire, l'ansia le stava crescendo dentro
. Provò solo a replicare: "Non ti devi preoccupare, mamma. Io sto molto
bene qui con Giusy e Juro."
Lorelia annuì, il nome di quel giovane le strappò un sorriso.
"Sono felice che tu abbia qualcun altro da amare. So che Juro
è un gran bravo ragazzo, ma ..." e si interruppe un attimo per poi
ricominciare dopo un bel respiro:" Francesca io so tutto."
Quella rivelazione le fece alzare immediatamente lo sguardo
attonito sul viso della donna. Non provò
nemmeno a pronunciare qualcosa, preferì rimanere in silenzio e ascoltare. E ora
che lo sai anche tu, non ti senti più parte della nostra famiglia, vero?"
Francesca rimase esterrefatta, un brivido di ghiaccio le percorse
la schiena e sentì di avere le guance bollenti. Si coprì il volto con le
mani:Lorella l’aveva smascherata, e adesso non sapeva come difendersi, come
scusarsi.
Lorella la tenne stretta a sè, le sembrò di avere ancora tra le
braccia Francesca bambina. Le labbra le sfiorarono la fronte e Francesca chiuse
gli occhi.
“Sapevo tutto di tuo padre e di Sveva Iasis da prima che tu
nascessi. Domenico era cambiato nei miei confronti, era gentile come al solito,
ma lo vedevo distratto e poi era sempre in viaggio, a casa non c’era mai. Così
presi coraggio, andai da un investigatore privato e lo feci seguire per un
lungo periodo. Fu così che venni a sapere tutto e quando una notte Domenico
arrivò a casa con te, addormentata e col braccio ingessato, capii che non eri
la bambina di cui avevamo chiesto l’adozione mesi prima…Tu eri sua figlia.”
La voce le tremò. Francesca si sciolse dolcemente dal suo
abbraccio e in un sussurro le chiese:” Come hai fatto ad accettare tutto
questo? Come hai fatto a volermi bene?”
“E come potevo avercela con te? Non ero arrabbiata nemmeno con
Domenico…si era innamorato follemente e se tua madre non fosse morta
sicuramente mi avrebbe chiesto la separazione. L’ho visto soffrire in silenzio
dopo la morte di Sveva, per un lungo periodo, mangiava solo per sopravvivere e
la notte si svegliava continuamente in preda agli incubi. Avrei voluto
parlargli, dirgli che poteva contare su di me, che non lo giudicavo…ma ho
preferito rimanerne fuori . Ho aspettato che piano piano il dolore diventasse
razionale.”
Francesca si asciugò le lacrime e si raccolse i capelli con la
pinza rossa che teneva nella tasca del grembiule..
“Mamma non avevo idea che tu sapessi tutto…Mi dispiace tanto per
quello che hai passato.”
Lorella scrollò lievemente la testa senza aggiungere altro.
Francesca le prese il viso tra le mani e le confidò: “Ho sempre pensato che tu fossi
una mamma speciale. Mi ricordo che mi difendevi sempre dai dispetti dei miei
fratelli e che sei sempre stata dolce e amorevole con me, anche quando avrei
avuto bisogno di una bella sculacciata.”
La donna rise al ricordo di quei momenti intensi.
Francesca le prese una mano tra le sue. Ne ammirò le belle unghie
lunghe e curate, smaltate di bianco madreperla. Gliele aveva viste sempre così.
“”Sei veramente speciale, ora lo so per certo, mamma!”
La giovane calzò particolarmente su quell’ultima parola e gli
occhi della donna si fecero subito umidi.
“Ascolta Francesca, ho raccontato tutto anche a tuo padre, ieri
mattina.”
Francesca sgranò gli occhi e le labbra le si aprirono dallo
stupore.
“Sì…l’ho invitato a fare colazione nel solito bar del centro e gli
ho fatto vedere queste…”
La ragazza prese la busta che la donna le porgeva. Dentro c’erano
alcune foto dai margini ingialliti. Si girò verso la luce per mettere meglio a
fuoco i visi delle due persone che comparivano. Capì che quell’uomo e quella
donna che stavano passeggiando erano i suoi genitori, Sveva Iasis e Domenico
Dominici. Lei teneva i capelli sciolti sule spalle, biondi e lisci risaltavano
sul tubino nero; lui, alto e distinto, in completo grigio antracite la teneva
stretta a sé. In silenzio le sfogliò tutte e si fermò su una foto, che ritraeva
Sveva in primo piano. Non potè non impressionarsi per la straordinaria
somiglianza. In quella vecchia foto si specchiò.
“Siete identiche.” Commentò Lorella e Francesca annuì tra le
lacrime.
“Scusami, mamma, ma ricordo così poco di lei che quando ho
qualcosa di suo…mi commuovo.”
“Non devi scusarti, cara, è comprensibile.”
La ragazza si soffiò il naso e dopo un bel respiro chiese a
Lorella come avesse avuto quelle foto.
“Me le diede l’investigatore e io le ho sempre conservate in una
cassetta di sicurezza…ero certa che prima o poi te le avrei dovute far vedere.”
“Grazie. Sveva fa parte della mia vita quasi dimenticata, come
dico io, dell’altra mia vita.” disse Francesca riponendo con cura le foto nella
busta.
“E papà cosa ha detto dopo che gli…”
“ E’ rimasto senza parole…Non ha avuto coraggio di aggiungere
nulla dopo che gli ho detto che me ne andavo e…”
“ Te ne vai? Perché? Dopo tutto questo tempo, che motivo c’è?”
“Francesca io voglio la separazione…ora che tutto è stato scoperto
non riesco più ad essere la donna di prima e tuo padre questo lo ha capito. Mi
ha trovato una bellissima casetta sul lago, lì starò bene per ricominciare la
mia vita…anche alla mia età si ricomincia.”
Francesca era rimasta sbigottita da quella decisione e pregò
Lorella di pensarci meglio.
“L’ho già fatto, tesoro, la decisione ormai l’ho presa e non
ritorno indietro…Tu, piuttosto, devi ritornare a Como, cosa ci fai qui?”
“Mamma, ho delle cose in sospeso qui e poi c’è…” Francesca non
riuscì a terminare la frase che la madre la precedette: ” Juro.”
La ragazza arrossì leggermente e annuì.
“Lo ami?”
“ Gli voglio tanto bene, ma ho paura di iniziare una nuova
relazione dopo quello che è accaduto con Giorgio.”
“Arriverà quel momento, vedrai. Non metterti fretta.”
“Spero che Juro mi aspetti.”
Le labbra della donna si distesero in un sorriso:” Se ti ama, ti
aspetterà.”
“Lui non lo sa, ma per me è diventato importante, farei fatica a
vivere senza di lui.”
"Fai solo attenzione a non confondere l'amicizia con l'amore.
Tu arrivi da un periodo difficile, non vorrei che confondessi le due
cose."
Francesca rimase pensierosa e non se la sentì di aggiungere altro.
Giusy tra una faccenda e l’altra, buttava l’occhio verso quel
tavolino in disparte, in fondo al locale. Riusciva a percepire l’emozione tra
le due donne e si trattenne dal correre ad abbracciarle. Lorella teneva le mani
della figlia e gliele lasciava solo per permetterle di asciugarsi le lacrime
che ogni tanto le rotolavano dagli occhi. Leggeva felicità e allo stesso tempo
sgomento sul volto di Francesca, le vide abbracciarsi e tenersi strette l’una
all’altra. Francesca teneva la guancia appoggiata alla spalla della madre e la
donna le accarezzava i capelli con gesto lento, come se il tempo non contasse,
almeno non per loro due,
“Sembra un addio…” constatò Giusy tristemente
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